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A vida não basta

Atelier of Building Construction 16-20 Maggio 2016 - Chiesa di Santa Verdiana

arrigoni portogallo

A literatura, como toda a arte, é uma confissão de que a vida não basta. Talhar a obra literária sobre as próprias formas do que não basta é ser impotente para substituir a vida.
Fernando Pessoa, Impermanence


Nel marzo 1982 la rivista “Casabella” licenziò il numero 478, primo volume redatto sotto la direzione di Vittorio Gregotti; come si conviene in casi del genere, la pubblicazione mostrava un elegante nuovo abito grafico al cui interno risultava sorprendentemente assente lo spazio destinato all’editoriale – l’opinione del neodirettore balenava in chiusura sulla questione, allora potentemente avvertita, del confronto con il passato e sull’uso della storia. Dunque dopo pochi inserti pubblicitari ed il foglio con il sommario, l’apertura era affidata al Quartiere Malagueira immaginato da Alvaro Siza Vieira (allora trascritto senza accenti) ad Évora e presentato in 14 pagine di asciutto bianco-nero. Per molti studenti e giovani architetti italiani quella fu la prima occasione di contatto con la cultura del progetto portoghese. In campo tutti i temi che poi connotarono una stagione del pensiero della disciplina, tra i quali elenchiamo: la continuità e la coerenza tra piano e progetto sino al loro mutuo confondersi, la città intesa come insieme monàdico di parti autonome e definite, la volontà di una molteplicità di “scala” nei manufatti di ogni sua frazione, il valore assegnato al vuoto, l’energia generatrice riconosciuta nelle preesistenze e nelle tracce che intessono i luoghi («rocce, alberi, pozzi, mura, vestigia di pavimenti…»), la comprensione della dimensione diacronica, per inserti successivi, di ogni autentico fatto urbano, la ricerca di una precisione tipologica e morfologica, l’economia delle scelte costruttive, il conflitto, inevitabile, tra ragione ed accidentalità («scoperta, oscillazione, revisione e svolte…»), l’azione straniante, moltiplicatrice di senso, della memoria nel comporre e, non ultimo, la chiara consapevolezza del precipitato politico e sociale connaturato al mestiere. «Un architetto è stato chiamato a partecipare alla risoluzione di un problema e lo ha fatto come pensa che si risolvano i problemi, soprattutto quelli che si riferiscono all’elaborazione di un progetto: appoggiando e promuovendo l’aumento delle persone a pensarci con responsabilità, senza diminuire la propria responsabilità. Partì dall’idea sorta durante la prima visita perché ritiene che non si progetti addizionando bocconi di informazioni, e che questo serva, se applicato ad un’idea, per correggerla e definirla. E che l’idea è nel sitio, molto più che nella testa di ciascuno, se uno è attento a vedere, e per questo può e deve sorgere al primo guardare; altri sguardi suoi e di altri si sovrappongono, e quello che nasce semplice e lineare diventerà più complesso e vicino al reale – veramente semplice» (A.S.V.). Da organização do espaço è il fortunato scritto del 1962 di Fernando Távora - «il primo contemporaneo
 ell’architettura portoghese» - che inaugura quella che la critica di settore definirà la “Scuola di Oporto” (classificazione, invero, a stento sopportata dai suoi supposti protagonisti); avendo cura di evitare ambigui incasellamenti o dipendenze non provate, all’interno del Laboratorio di Progettazione architettonica V abbiamo tentato una ricognizione, certamente parziale, dell’architettura lusitana, avendo ben presente gli intrecci e gli scambi che fin dagli anni 50 del novecento hanno avvicinato molti autori al nostro paese. Oltre trenta modelli descrivono alcune opere di Fernando Távora, Alcino Soutinho, Gonçalo Byrne, Eduardo Souto De Moura, João Luís Carrilho da Graça, Aires Mateus, Paulo David, João Paulo Loureiro: un viaggio attraverso le geografie e le storie, le regioni ed i tempi. Un modesto esercizio di studio ed ammirazione.

 

Locandina

12 Maggio 2016 (Archiviata)

 

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