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In memoria del prof.Adolfo Natalini

"Abbiamo bisogno di architetture appropriate ai luoghi e agli abitanti, resistenti al tempo e alle mode, rassicuranti contro il transito veloce del tempo per proteggerci dalle offese delle stagioni e degli uomini.
Abbiamo bisogno di architetture solide, protettive, rassicuranti, di architetture dignitose e civili.
Abbiamo bisogno di luoghi la cui forma nasca lentamente nel tempo attraverso i bisogni e i desideri."

 

Si è spento nella sera di mercoledì 22 gennaio Adolfo Natalini, architettore: “di mestiere faccio il professore all'Università, la mia professione è quella dell'architetto, ma la mia vocazione è quella dell'artista” così condensava il suo fare che, nel caso di specie, coincideva senza residui con la vita. In una gouache di qualche anno fa, battezzata Autobiografia, i tratti del volto andavano a spiccare da un insieme di frammenti, un arcipelago di edifici e segnature che sembrano chiudere il lungo arco che dai preliminari disegni di studio conduce al corpo della fabbrica e poi tornare alla carta ora solo come traccia, memoria, fantasma – i ripetuti lapsus tra lapis e lapide. Sono stato suo allievo negli anni ottanta del secolo scorso quando alle sue lezioni nella magnifica aula Minerva dell'Accademia di Belle Arti si raccoglievano un numero inverosimile di studenti (più che una lezione un happening tra grazia affabulatoria ed ironia inesorabile); non ne avevo certo chiara contezza ma erano anni per lui decisivi: la pars destruens della ricerca incardinata alle distopie allestite da Superstudio cedeva progressivamente il passo alla pars costruens che troverà sistemazione esplicita con l'apertura nel 1991 dei Natalini Architetti – come era solito ricordare, da Qoelet, c'è un tempo, un punto per ogni cosa.

Una tarda mattina sfogliando allo studio del Salviatino un volume edito in Austria ai primi del novecento mi mostrava come intendesse presentare il proprio lavoro: poche righe iniziali e poi un lungo elenco di fotografie, tutte nel medesimo formato, tutte in un elegante bianco-nero. In realtà la scrittura ha accompagnato fedele i giorni, trovando occasionale veste pubblica quando è apparsa per accompagnare progetti ed architetture – nelle riviste, nei cataloghi delle mostre, negli interventi richiesti. Testi spuri, meticci, capaci di cucire assieme registri dissimili tra riflessione critica, testimonianza privata, lineamenti di poetica; per un verso schegge ancora più sensibili e rivelatrici rispetto a “Figure di pietra”, il libro che ha anticipato la sua seconda stagione. Un brogliaccio di una trentina di pagine inteso anche come risposta a quel suo lontano scritto del 1984 e ricapitolazione del viaggio intrapreso è l'ultimo tassello del mio profondo ed inestinguibile debito contratto nei suoi confronti.

Fabrizio Arrigoni

24 Gennaio 2020 (Archiviata)

 

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