Il CHM_Lab svolge attività di ricerca, in proprio e per conto di terzi, sui temi della documentazione, valorizzazione e gestione dei beni culturali. Le competenze multidisciplinari del personale che vi afferisce consentono di affrontare tematiche complesse, analizzare le interazioni tra ambiti di studio diversi e individuare soluzioni condivise per una gestione consapevole del patrimonio materiale e immateriale.
Alle attività di analisi e documentazione realizzate con le più avanzate tecnologie sono connesse le attività progettuali, anche attraverso processi partecipativi, volte all’individuazione di modalità di intervento in grado di promuovere il patrimonio stesso, traendone benefici per la comunità.
Il CHM_Lab supporta le attività dell’Unità di Ricerca DM_SHS (Documentation and Management of Small Historical Settlements) del DIDA.
L’unità di ricerca si prefigge la duplice finalità di attivare dei percorsi di conoscenza dei processi di formazione e trasformazione storico-ambientale e socio-economica delle realtà indagate in grado di supportare le successive fasi di ideazione di proposte progettuali con le quali supportare l’operato delle amministrazioni dedite alla salvaguardia e promozione di tali realtà.
Tra le principali linee di ricerca del CHM_Lab:
Il complesso architettonico del Kursaal, progettato nel 1905 dagli architetti Carbinati e Garbagnati e inaugurato due anni dopo, per tutto il secolo XX al centro della vita sociale e luogo iconico della Montecatini del Novecento, negli anni ha subito periodiche e graduali trasformazioni per adattarsi e rispondere alle mutate esigenze dell’utenza. L’edificio (nucleo originario e ampliamento degli anni 2000 su progetto dell’arch. Aldo Rossi) occupa un intero isolato, compreso tra corso Roma, via Puccini, viale Giovanni Amendola e viale IV Novembre. Il corpo di fabbrica novecentesco si sviluppa in direzione Nord-Ovest/Sud-Est lungo corso Roma, sul quale è rivolto il fronte principale e si aprono gli accessi. Al corpo parallelepipedo centrale, sviluppato su due piani e dotato di loggia passante a tre fornici, si affiancano le due ali laterali ad esso allineate. L’ala Nord-Ovest, anch’essa sviluppata su due piani, è caratterizzata dalla presenza di una torretta accessibile dal lastrico solare, realizzata in seguito alla sopraelevazione del 1915; l’ala Sud-Est, su un unico piano, è coperta da un’ulteriore terrazza a quota inferiore rispetto al lastrico solare principale.
La realizzazione di un’indagine storico-archivistica, di un rilievo digitale morfometrico e cromatico, di un’analisi dei fenomeni di degrado e una valutazione del comportamento strutturale sono stati finalizzati a costituire un apparato documentario il più possibile completo relativo allo stato di fatto del manufatto architettonico in vista di un suo imminente recupero.
L’acquisizione del dato morfometrico e cromatico ha consentito di delineare la consistenza geometrico-dimensionale e la caratterizzazione cromatica dei fronti, nonché di definire la base per proposte progettuali di valorizzazione dello spazio urbano.
Il protocollo di ricerca stipulato con HYPER STP s.r.l. prevede una collaborazione scientifica nell’ambito della documentazione digitale finalizzata alla realizzazione di applicazioni VR e AR per la valorizzazione del complesso monastico di San Salvi (Firenze). Il CHM_Lab ha condotto la digitalizzazione degli ambienti ecclesiastici e dell’ambito urbano nel quale si colloca la chiesa.
Villa Maurogordato in Livorno è un esempio emblematico di una fase storica di espansione extra moenia che ha interessato molte città costiere della penisola italiana a partire dal XVIII secolo, le quali, sviluppatesi in una prima fase in prossimità del mare, si sono successivamente estese verso l’entroterra.
La stratificazione storica e il degrado materico della Villa Maurogordato a Livorno, testimone silenziosa delle trasformazioni economiche, sociali e urbane che hanno attraversato la città dal XVIII secolo in poi, svelano non solo le vicende della fabbrica, ma più in generale le peculiarità della storia livornese e le relazioni che la città intratteneva con il contesto mediterraneo.
Tra le pertinenze della villa è risultato di particolare interesse il cosiddetto il “villino per gli ospiti”, di cui sono state indagate, a seguito di una campagna di rilevamento digitale e del parallelo raffronto con le fonti storiche, le diverse le fasi edificatorie, che hanno consentito di ricomporre uno spaccato di vita cittadina.
Il Palazzo Pretorio di Massa Marittima costituisce una testimonianza architettonica di primaria importanza all’interno del tessuto urbano di Città Vecchia; il suo valore storico-artistico e l’importanza della funzione che oggi ospita lo rendono infatti un edificio strategico nel panorama culturale regionale. L’edificio, che insiste su un lotto prospiciente su piazza Garibaldi, fronteggia la Cattedrale di San Cerbone e si innesta nel tessuto urbano su via Todini. Rispetto alla piazza Garibaldi, il palazzo ospita nei tre piani fuori terra il Museo Archeologico “Giovannangelo Camporeale”; il primo e il secondo piano sono visitabili, mentre il terzo è interdetto al pubblico. I locali posti al piano terreno non sono invece in uso al museo, ma utilizzati da associazioni locali per le loro attività.
Il rilievo digitale condotto ha consentito l’acquisizione dei dati morfometrici e cromatici necessari ad una sua dettagliata documentazione, finalizzata sia allo studio storico-architettonico dell’edificio, sia alla formulazione di proposte progettuali in grado di implementare le possibilità di visita del Museo Archeologico grazie all’allestimento di una sala multimediale posta al piano primo e alla realizzazione di un Museo della Città e del Territorio al piano terzo.
La documentazione morfometrica e cromatica del Palazzo Rinuccini in Firenze è finalizzata all’approfondimento delle vicende accorse alla fabbrica nel corso dei secoli. La ricostruzione delle fasi storico-architettoniche dell’edificio è stata possibile grazie alla stretta collaborazione tra il CHM_Lab e la Città Metropolitana di Firenze, attuale proprietaria del palazzo, che oggi ospita il Liceo Internazionale Machiavelli-Capponi.
Il rilievo dei due portali gotici “de los Apostoles” e “de las Virgenes” della cattedrale di Morella è finalizzato alla redazione di un progetto di conservazione della fabrica.
La particolare complessità architettonica e l’imponente apparato decorativo dei manufatti ha richiesto l’integrazione di più tecniche di rilevamento basate sia su sensori attivi che passivi.
I stralcio: oggetto di studio sono state le 85 porzioni in cui è stato suddiviso il manto in rame, a seguito di un evento calamitoso (5 marzo 2015), del corpo Sud-Est della chiesa di San Giovanni Battista e l’estradosso del solaio sul quale giaceva la copertura. La condizione in cui versavano gli elementi in rame – oggi accatastati su pallet nel locale ex-mensa dell’edificio della Società Autostrade s.p.a. – è dovuta ai danni subiti in seguito al distaccamento ed alla caduta a terra del manto, oltre che alla successiva suddivisione in porzioni, tramite taglio meccanico, realizzata per facilitarne il trasporto e lo stoccaggio. La documentazione degli aspetti morfometrici e cromatici della copertura ha consentito di valutare in primo luogo se la superficie totale delle parti in cui è stato suddiviso il manto corrispondesse a quella del solaio di copertura, oppure se alcune porzioni fossero andate perdute. Per fare questo è stato necessario documentare nel dettaglio l’estradosso del solaio, al fine di determinare una base geometricamente e dimensionalmente attendibile sulla quale realizzare le operazioni di ricomposizione virtuale (anastilosi digitale). In secondo luogo, è stato documentato il disegno del manto dato dalla giustapposizione tra loro delle singole lastre di rame, cercando di comprendere le ragioni delle scansioni verticali ed orizzontali che lo caratterizzano. Infine, a seguito di una valutazione “a vista” dello stato di conservazione di ciascuna lastra e delle prove sperimentali realizzate in situ – tese a verificare la capacità del materiale di subire azioni di battitura (per il ripristino della complanarità delle lastre), di sgraffatura/graffatura e di saldabilità – sono state avanzate alcune soluzioni progettuali (sulla base dei soli aspetti geometrico/dimensionali e percettivi) per il ripristino della copertura, che gli strumenti digitali hanno consentito di simulare in ambiente 2D e 3D. Gli esiti della ricerca sono pubblicati.
II stralcio: la chiesa di San Giovanni Battista è stata oggetto di una estesa campagna di rilevamento digitale dei dati morfometrici e cromatici, finalizzata all’ottenimento di rappresentazioni 2D e 3D in grado di descrivere accuratamente i materiali e le tecniche costruttive impiegati nella fabrica, utili alla redazione del Piano di Conservazione Programmata. A causa della complessità del manufatto è stato necessario integrare più metodi di indagine con l’obiettivo di ottenere una raccolta completa di dati e addivenire a un prodotto quanto più possibile intelligibile. La campagna è stata organizzata in due fasi: rilevamento del manufatto tramite strumentazione range based (scanner laser) per la documentazione morfometrica; rilevamento fotogrammetrico degli alzati e della copertura, con l’utilizzo di strumenti e tecniche image based (camere fotografiche per riprese da terra e aeree) per la documentazione dei materiali attraverso l’acquisizione del colore apparente.
Il Gremio de la Seda, edificio che ospitava la Corporazione della Seta di Valencia, venne eretto nella seconda metà del XV secolo, nel momento di massima espansione dell’industria serica locale. Il rilievo del prospetto principale e di quello tergale, realizzato nell’ambito di un progetto di ricerca della Escuela Tecnica de Arquitectura della Universidad Politecnica de Valencia, è servito a documentare lo stato di fatto in cui si trovava l’edificio prima dei lavori di restauro.
Il palazzo della Missione sorge a Firenze, nella zona del Quartiere di Santo Spirito, anticamente corrispondente al popolo di San Jacopo Sopr’Arno, il cui fulcro era rappresentato dall’omonima chiesa, tuttora esistente. L’edificio fu fondato intorno al secolo XI dalla famiglia Frescobaldi, che ne fu l’iniziale proprietaria. Nel corso dei secoli ha subito numerose trasformazioni e passaggi di proprietà: oggi presenta una maestosa facciata barocca del XVII secolo, unica del suo genere a Firenze.
La storia del palazzo si intreccia profondamente con quella della città, soprattutto a causa dell’esistenza di un antichissimo accesso all’Arno, la cosiddetta “porticciuola d’Arno” ormai andata perduta, e delle vicende relative alla costruzione del ponte a Santa Trinita, voluto dalla famiglia Frescobaldi.
La ricostruzione delle vicende storico-architettoniche dell’edificio, basata su un dettagliato rilievo morfometrico che ha documentato anche gli ambienti ipogei, è stata possibile grazie alla stretta collaborazione tra CHM_Lab del DIDA e Città Metropolitana di Firenze, attuale proprietaria del palazzo, che oggi ospita il Liceo Internazionale Machiavelli-Capponi. Il connubio tra ricerca storica e modellazione tridimensionale ha consentito di realizzare un filmato che illustra in modo inedito le modifiche apportate al Palazzo nel corso dei secoli.
La ricerca che il CHM_Lab ha condotto per conto del Comune di Reggello (FI) – finalizzata ad individuare delle buone pratiche utili a indirizzare le politiche di intervento per salvaguardare il paesaggio storico e, in particolare, il patrimonio edilizio rurale che ne è parte integrante – ha consentito di sperimentare un innovativo workflow di lavoro nel quale le operazioni di documentazione dei manufatti edilizi, il riconoscimento dei morfotipi e la ricostruzione del processo morfogenetico locale hanno giocato un ruolo fondamentale nel mettere a punto un quadro conoscitivo utile per guidare le trasformazioni future. Tale metodo, al di là delle specifiche identità dei singoli territori, potrebbe trovare applicazione in altri contesti nei quali è necessario coniugare criticamente il cambiamento con la tutela di quanto ereditato dal passato.
La piazza Osvaldo Mischi di San Vincenzo nasce come spazio pertinenziale della fattoria Alliata attorno all’anno 1850 e fino agli anni 1970 resta di uso esclusivo di soggetti privati. L’area entrerà a far parte del patrimonio pubblico solo recentemente, dopo la riconversione dell’adiacente fattoria a biblioteca comunale, avvenuta negli anni ‘80. L’uso privato di questa particolare area ha fatto sì che la piazza non si relazionasse mai in maniera diretta con l’ambiente urbano circostante, pertanto ciò che ne risulta è uno spazio non consolidato che presenta molti elementi di rottura del linguaggio sintattico, tipico della piazza principale di una città. Tali elementi di rottura interessano le caratteristiche plano-altimetriche della stessa piazza, ma anche le caratteristiche morfologiche e materiche degli edifici perimetrali, nonché le destinazioni d’uso degli stessi. L’acquisizione del dato morfometrico e il dato cromatico ha consentito di delineare la consistenza geometrico-dimensionale e la caratterizzazione cromatica dei fronti, nonché di definire la base per proposte progettuali di valorizzazione dello spazio urbano.
L’area di indagine è caratterizzata da una eterogeneità di tessuti urbani realizzatisi nel tempo con principi generativi diversi, in cui risultano incuneate aree ancora da consolidare e porzioni urbane, soprattutto nella prossimità del litorale marino, in attesa di una definizione.
Al fine di predisporre uno strumento guida che faccia convogliare risorse pubbliche e private in un processo di rigenerazione urbana, la documentazione morfometrica e cromatica del comparto urbano costituisce lo strumento di partenza in grado di descrivere dettagliatamente lo stato di fatto delle quinte urbane.
Il rilievo scanner laser, integrato con fotogrammetria da terra e aerea, ha consentito la realizzazione di un modello poligonale texturizzato dell’ambiente oggetto di studio, sul quale sono state impostate le successive riflessioni progettuali. Il modello 3D, “percorribile” e interrogabile in real-time, costituisce inoltre un essenziale strumento di verifica mediante il quale impostare simulazioni di fenomeni statistici e un altrettanto importante mezzo comunicativo per la cittadinanza, che può così meglio comprendere i principali indirizzi dello strumento urbanistico.
Il progetto, collegato al più ampio “progetto Decima”, prevede la digitalizzazione del modello ligneo della città di Livorno al 1749 (realizzato da Lucia Frattarelli Fischer e Franco Gizdulich, dimensioni 3.60 x 3.90 metri) al fine di elaborare un modello 3D al quale associare un database concernente notizie di archivio sugli edifici raffigurati. La documentazione morfometrica e cromatica ha richiesto l’impiego di una stazione scanner laser, una fotocamera digitale montata su binari scorrevoli e una fotocamera digitale su drone.
I dati acquisiti sono stati elaborati al fine di ottenere un modello 3D completi di texture al quale associare un database concernente notizie di archivio sugli edifici raffigurati.
Tali modelli, realizzati nell’ambito di una Cooperazione Accademica con il Department of Italian Studies dell’University of Toronto, potranno essere interrogati ed analizzati dall’Unità canadese, nonché navigati e fruiti digitalmente da un più ampio pubblico.
La ricerca è finalizzata a comprendere le dinamiche evolutive delle piazze pubbliche dei centri storici minori ed a documentarne i caratteri identitari in vista del loro progetto di conservazione e valorizzazione.
Il Comune di Altavilla ha affidato al CHM_Lab del DIDA la documentazione morfometrica e cromatica di tre comparti edilizi appartenenti al tessuto storico extra moenia del paese, in tangenza con l’ultimo circuito murario. Il primo comparto, di più recente edificazione, è posto al fondo di via D’Avella ed è costituito da sette unità catastali. Il secondo comparto è suddivisibile in due parti: la prima ospita gli edifici compresi tra via Sambuco e la strada Panoramica, a partire dallo slargo in cui via Sambuco intercetta via San Pellegrino, scendendo progressivamente di quota; la seconda è formata da due edifici che si affacciano su via Annunziata, anch’essi in diretta comunicazione con il costone roccioso sul quale giace l’ex fortezza. Il rilevamento dei manufatti è stato realizzato mediante stazione totale, unità scanner laser e fotogrammetria digitale. La nuvola rada di punti è servita per coadiuvare le operazioni di allineamento delle singole point clouds generate dal laser scanner, mentre le texture del colore apparente, desunte mediante fortogrammetria, hanno consentito di realizzare i fotopiani dei fronti edilizi. Una parallela campagna di rilevamento fotografico ha permesso di acquisire un numero consistente di immagini relative anche ad alcuni interni dei fabbricati, mentre una schedatura realizzata ad hoc a partire dalle “Schede di Valutazione di Danno e Agibilità Post Sisma” della Protezione Civile ha permesso di riconoscere alcuni dei caratteri dell’edilizia storica e di descrivere il loro stato di deterioramento. Il dato geometrico-dimensionale e il dato cromatico sono serviti a delineare la consistenza degli immobili, la tipologia di afferenza, il loro stato di conservazione e, infine, a predisporre delle linee guida per la valorizzazione dei comparti stessi.
Il rilievo geometrico-dimensionale e materico dei fronti di piazza dell’Anfiteatro di Lucca è stato condotto attraverso tecniche e strumenti digitali. Dalle point cloud sono stati elaborati i modelli tridimensionali di alcuni elementi dell’anfiteatro, nel tentativo di contribuire a migliorare la conoscenza delle aree in cui sono ancora presenti i lacerti delle strutture romane. Parallelamente, gli elaborati pro-dotti hanno consentito lo svolgimento di analisi materiche legate alla diagnostica e ai degradi finalizzate alla redazione di un progetto di restauro e conservazione.
Nel più ampio contesto del bacino del Mediterraneo, mosaico di storie, luoghi, arte ed insediamenti urbani, la vicenda della “nazione tabarkina” diventa un simbolo tangibile di diffusione di una cultura “minoritaria” mediante l’esportazione dei suoi caratteri peculiari e dei suoi modelli architettonici. Dietro ai complessi avvenimenti che hanno indotto parte della popolazione di Pegli (Genova) a migrare sull’isola tunisina di Tabarka, e da lì verso le isole di San Pietro e Sant’Antioco in Sardegna e l’Isla Plana di fronte ad Alicante, è possibile leggere l’evoluzione e la trasformazione dei tratti distintivi dell’insediamento urbano originario riproposti e reinterpretati nelle successive colonie mediterranee.
L’indagine svolta nell’ambito delle Azioni Integrate Italia-Spagna in collaborazione con l’Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Valencia sugli insediamenti di Tabarka (Tunisia), Carloforte (isola di San Pietro), Calasetta (isola di Sant’Antioco) e Nueva Tabarca (Isla Plana) mediante l’impiego degli strumenti del disegno e del rilievo ha consentito di evidenziare le principali costanti e variabili di tale processo, inequivocabilmente impresse nella conformazione del tessuto urbano e nella tipologia edilizia ripetuta nei differenti centri urbani.
Il protocollo di ricerca stipulato con il comune di Monsummano Terme (PT) prevede una collaborazione scientifica nell’ambito del rilievo, del progetto, del restauro e della pianificazione dell’architettura, della città e del paesaggio, nonché della valorizzazione dei beni presenti sul territorio comunale.
All’interno del progetto sono state attivate tre Summer School – “Digital survey for archaeological heritage” (Montevettolini, 2022), “Digital documentation for archaeological heritage. From survey to design” (Monsummano Alto, 2023) e “Digital modeling for heritage valorization” (Monsummano Alto, 2025) – i cui esiti sono stati esposti in due successive mostre ospitate dal Museo della Città e del Territorio di Monsummano Terme.
Il CHM_Lab è impegnato nelle attività di documentazione morfometrica e cromatica del borgo oggetto del progetto di ricerca; gli elaborati bidimensionali e tridimensionali saranno necessari per la proposizione di un progetto di valorizzazione.
La documentazione morfometrica e cromatica del tratto Nord-Est della cinta muraria di Magliano in Toscana, della zona sottostante questa porzione di mura e della parte di paese compresa tra piazza del Popolo e piazza della Repubblica, si è resa necessaria per analizzare lo stato di conservazione della cortina muraria prospiciente un parcheggio di nuova realizzazione, al fine di predisporre un progetto di riqualificazione del versante orientale del paese.
Il rilievo geometrico-dimensionale e materico – finalizzato all’ottenimento di elaborati grafici in grado di documentare la geometria del manufatto e di fotopiani – è stato condotto attraverso tecniche e strumenti digitali. I dati geometrici acquisiti durante la campagna di rilievo hanno consentito di costruire un modello 3D della porzione di paese in oggetto. Tale modello è stato realizzato con il fine di disporre di una versione semplificata e di più facile interpretazione del manufatto rispetto al modello a nuvola di punti e di consentire simulazioni progettuali all’interno del contesto urbano documentato.
La documentazione morfometrica e cromatica del tratto delle mura di Siena compreso tra porta Romana e porta Pispini – finalizzato all’ottenimento di elaborati grafici in grado di documentare la geometria del manufatto e di fotopiani sui quali evidenziare i fenomeni di degrado e lo stato di fessurazione – è stato realizzato attraverso tecniche e strumenti digitali range-based e image-based. Il rilievo scanner laser, integrato con fotogrammetria da terra e aerea, ha consentito l’acquisizione di dati relativi a entrambi i lati della cortina difensiva e della parte sommitale delle mura medesime, oltre che delle aree limitrofe per una distanza di 7 m dal paramento.
La campagna di rilievo rientra nel più generale progetto del parco delle mura senesi, finanziato dal MIBACT.
Il rilevamento dei dati morfometrici del Castello di Montemassi, finalizzato al recupero del manufatto, rientra nel più generale accordo tra i comuni della Maremma con il Parco nazionale tecnologico e archeologico delle Colline metallifere grossetane, che ha tra le sue finalità la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico e culturale di tutta l’area. Nel 2022 gli elaborati bidimensionali e tridimensionali sono stati utilizzati nell’ambito della “International Summer School Reuse the Ruin”.
La ricerca sull’insediamento alto medievale di Bivignano (Arezzo) è stata realizzata all’interno di un progetto finalizzato alla redazione di un piano di recupero architettonico-funzionale dell’intero borgo. L’insediamento fa parte di un ampio sistema di castelli sviluppatosi tra l’XI ed il XII secolo in una valle secondaria del torrente Cerfone, affluente del Tevere. Eretto per volere dell’omonima famiglia comitale, il castello si sviluppa in continuità con la residenza signorile e con la limitrofa chiesa di Santa Maria (ricostruita nel Seicento sull’originaria cappella altomedievale). Il resto del tessuto edilizio è formato da abitazioni ed ambienti di servizio, che sono stati in uso fino alla metà degli anni Settanta. Oggi il castello versa in un deprecabile stato di abbandono, aggravato dai continui saccheggi a cui è sottoposto, i quali, oltre a privarlo degli elementi architettonici facilmente riutilizzabili altrove, accelerano i processi di degrado.
Il rilievo della Rocca di Sala è finalizzato alla documentazione del Quadriburgium e del palazzo Guinigi in vista della redazione di una proposta di riutilizzo dei manufatti e delle aree adiacenti. La rocca, risalente all’XI secolo ed ampliatasi nel corso del Duecento e del Trecento, sovrasta l’abitato di Pietrasanta (seconda metà del XIII secolo) ed è attualmente inaccessibile.
Il primo nucleo del castello di Verrucole (Lucca) risale alla metà del XIV secolo, mentre la configurazione attuale si raggiunge nel corso del XVI secolo sotto gli Estensi. La fortezza si erge tra le alture della Garfagnana ed ha svolto per secoli una importante funzione di controllo territoriale. Il rilievo digitale ha permesso di indagare il manufatto, desumendone le fasi evolutive.
Nel corso del XI e XII secolo la Valdisieve cadde sotto il dominio della potente famiglia comitale dei Conti Guidi, già signori del territorio aretino e successivamente anche di quello empolese.
La loro presenza era assicurata dai numerosi castelli, borghi murati ed edifici religiosi sotto il loro diretto controllo o di quello dei loro affiliati. La loro egemonia su queste terre continuò fino al XIV secolo, quando Firenze riprese gradualmente possesso dei territori di frontiera; in questo contesto la Valdisieve, che non rivestiva un particolare interesse per il potere centrale, iniziò un lento declino che investì con particolare inclemenza il patrimonio architettonico.
Ad oggi numerose sono le testimonianze di quell’epoca ed è ancora ben leggibile la corona di strutture castellane e pievane erette attorno a Firenze.
La documentazione morfometrica dei castelli della bassa Valdisieve si inserisce nel programma di digitalizzazione del patrimonio, da anni promossa dal MiBACT. Il materiale prodotto sarà fruibile all’interno del Centro di Interpretazione del Territorio della bassa Valdisieve (Pelago, Firenze), contribuendo a fornire ai visitatori una corretta prospettiva storica dei luoghi di maggior interesse.
La porta del Paradiso del Battistero di Firenze, realizzata da Lorenzo Ghiberti tra il 1427 e il 1452, è riconosciuta dalla critica artistica come una delle opere che segnano il passaggio dall’arte medievale a quella rinascimentale. I bassorilievi delle dieci formelle bronzee palesano, sia dal punto di vista iconografico che da quello tecnico, una marcata differenza rispetto alla produzione precedente, anche dello stesso maestro. L’elemento che permane nel mutamento è la funzione narrativa dell’arte; in quella cristiana il linguaggio figurativo continua, infatti, a svolgere un’importante funzione catechetica. Per poter comprendere pienamente il significato del testo trasfigurato è necessario, oggi come allora, possedere dei codici di lettura; nel corso dei secoli tali codici sono andati progressivamente persi, rendendo in parte “mute” le scene raffigurate nella porta. L’analisi e la restituzione, mediante modellazione e animazione 3D, degli avvenimenti che hanno luogo all’interno del “paesaggio delle formelle”, condotta in collaborazione con il Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, consente una rinnovata e più immediata lettura, contribuendo alla divulgazione scientifica dei contenuti e alla valorizzazione del Patrimonio Culturale.
La settima sala del Centro di Interpretazione del Territorio della bassa Valdisieve vedrà esposta una stampa digitale di ciascuna delle dieci formelle della Porta del Paradiso. Attraverso una app gli utenti, inquadrando le opere, avranno accesso a dei video che illustreranno, mediante delle animazioni 3D realizzate a partire dai modelli mesh delle formelle, il significato degli episodi raffigurati dal maestro.
In collaborazione con il Sistema Bibliotecario dell’Università degli Studi di Firenze, è stato strutturato un database relativo a Lorenzo Ghiberti e alle sue opere, fruibile all’interno del sistema OneSearch di Ateneo, che si propone di mettere a disposizione il catalogo ragionato della bibliografia sull’autore, dei documenti d’archivio relativi alla sua vita e attività professionale, delle opere d’arte autografe o attribuite a lui o alla sua bottega in vario modo, delle copie delle sue opere diffuse nel mondo, delle collaborazioni artistiche avvenute a vario titolo e di ogni altra fonte, risorsa, prodotto, lavoro che lo riguarda come uomo e come artista. Il portale si struttura in schede descrittive, chiamate “Documenti”, compilate sulla base dei dati minimi per il riconoscimento univoco della risorsa e su di un breve apparato critico di corredo. Le schede sono progressivamente riviste e validate da esperti dei vari settori di ricerca.
I “Documenti” sono raggruppati in “Collezioni”: la sezione “Testi” raccoglie le schede dei documenti d’archivio e delle risorse che compongono la fortuna critica, offrendo anche un sunto introduttivo; la sezione “Opere d’arte” raccoglie i capolavori ghibertiani, la produzione della bottega e le copie successive, nella forma di brevi schede catalografiche, nonché la fortuna iconografica – incisioni e fotografie – relativa a tali opere; la sezione “Collaboratori” include le informazioni relative agli associati, gli allievi, i seguaci di Ghiberti e gli altri artisti che hanno in vario modo lavorato con lui.
L’esperienza condotta nell’ambito del Seminario Tematico “Abitare il Paesaggio della Storia | Virtual Installation for Cultural Heritage Valorization” rappresenta un esperimento didattico, maturato all’interno del Progetto Ghibertiana, che ha innescato una riflessione sul significato di “architettura virtuale”, sui principi progettuali che ne sono alla base e sui risultati possibili in funzione dell’uso che se ne intende fare, realizzando un allestimento virtuale inerente al paesaggio storico della Valdisieve, mediante programmi di modellazione 3D e software per la navigazione interattiva. L’esperienza è stata indirizzata a progettare una forma alternativa di fruizione dei contenuti digitali che, a differenza dei più diffusi strumenti di presentazione multimediale, tornasse a fare assumere un ruolo cardine non soltanto alle informazioni trasmesse, ma anche all’architettura (virtuale) e agli spazi che essa descrive.
Obiettivo della convenzione stipulata nel 2015 tra l’Amministrazione comunale di Pelago e il CHM_Lab è quello di valorizzare l’intero centro storico del borgo a partire dal suo spazio più rappresentativo: la piazza Lorenzo Ghiberti. A tal fine sono state documentate ed analizzate la piazza e le aree adiacenti ad essa e, successivamente, è stata redatta una proposta progettuale che comprende un intervento sul sedime della piazza, il riordino della viabilità esistente e una serie di azioni di marketing territoriale in grado di rendere nuovamente vitale questo comparto urbano. L’acquisizione e la successiva elaborazione dei dati è stata possibile grazie anche allo svolgimento di un Seminario Tematico (nella veste di workshop) a cui hanno partecipato studenti e dottorandi della Scuola di Architettura. Nel 2017, inoltre, il Comune ha affidato al CHM_Lab lo studio museologico e museografico degli erigendi Centro di Interpretazione “Lorenzo Ghiberti” e del Centro di Documentazione su Lorenzo Ghiberti.
L’accordo stipulato con l’Università Nostra Signora del Buon Consiglio prevede una collaborazione scientifica nell’ambito del rilievo, del progetto, del restauro e della pianificazione dell’architettura, della città e del paesaggio.
Berat, fondata nel IV secolo a.C., è nota per il suo patrimonio cristiano ortodosso, con numerose chiese bizantine affiancate da moschee ottomane, che riflettono la sua diversità religiosa e culturale. All’interno del castello, la chiesa di San Giorgio fu costruita nel XVIII secolo come parte degli sforzi della comunità cristiana per mantenere una presenza religiosa durante il dominio ottomano. La documentazione morfometrica e cromatica eseguita con strumentazione range-based e image-based, ha consentito di ottenere un digital twin dell’edificio nel suo contesto sul quale verranno effettuati successivi approfondimenti analitici volti a identificare le fasi di formazione e trasformazione dei corpi di fabbrica.
La chiesa della Salvezza di Rubik è una delle chiese medievali (recenti scavi archeologici la attestano al XII secolo) situate nella parte Nord dell’Albania. Le sue numerose ricostruzioni attraverso gli anni e, in particolare, la fase di abbandono subita nella seconda parte del XX secolo, hanno causato danni visibili alle strutture, recentemente restaurate durante un processo di valorizzazione che ha restituito alla chiesa alla sua funzione originaria.
La campagna di rilevamento ha interessato la chiesa, l’antico monastero e un bunker realizzato nel secolo scorso ai piedi della collina sulla quale si erge il complesso religioso.
La moschea di Memi Bey, costruita durante il periodo ottomano (1757), rappresenta una delle tredici rimaste in piedi dopo le demolizioni del regime comunista. Il complesso oggi si sviluppa su due livelli: a quello inferiore si trovano i negozi del bazaar, affacciati su una galleria alla quota dal piano stradale, a quello superiore si sviluppa la moschea, alla quale si accede mediante un portico.
La documentazione morfometrica e cromatica ha interessato l’intero isolato, ma si è concentrata sulla moschea e su un vicino edificio più recente, dei quali sono stati rilevati anche gli interni.
Il museo etnografico di Durazzo (casa museo di Aleksandër Moisi) è collocato nella zona portuale della città, vicino alla torre veneziana. L’edificio risale alla seconda metà del XIX secolo e la sua configurazione distributiva è assimilabile alla cosiddetta “casa a camino”, tipologia tradizionale ottomana, con un fronte addossato alle mura medievali della fortezza del V secolo. La casa si sviluppa su due piani. Al primo piano vi è un ballatoio, denominato çardak, che serve come zona giorno e che si trova sopra al cosiddetto hajat a piano terra, utilizzato come zona di lavoro. Entrambi gli ambienti sono spazi interno-esterni, cioè aperti verso il giardino di fronte nonostante siano coperti. I due piani sono collegati tra di loro tramite una scala esterna a “L”.
Nel 2019, a causa di un forte terremoto con epicentro vicino a Durazzo la struttura viene danneggiata e il museo chiuso. La documentazione morfometrica e cromatica è finalizzata pertanto ad innescare un processo di valorizzazione del luogo che, partendo dal consolidamento e dal restauro conservativo, consenta una rinnovata fruibilità della struttura.
L’edificio che oggi ospita l’Akademia e Shkencave Tiranë venne realizzato all’inizio del XX secolo come sede di rappresentanza della famiglia Toptani. Se forma e volumetria non sono mutati nel corso dei secoli, altrettanto non può dirsi per l’assetto distributivo e, conseguentemente, per la disposizione delle aperture sui fronti, che hanno subito nei decenni numerose modifiche per adeguarsi ai frequenti cambiamenti d’uso. Il rilievo condotto, oltre a documentare lo stato di fatto dell’edificio, ha al contempo evidenziato sulle strutture discontinuità architettoniche e decorative, tamponamenti e murature di più recente fattura; tali singolarità, messe a sistema con la documentazione storica, hanno consentito la formulazione di una prima ipotesi rispetto all’assetto originario del manufatto. Gli esiti della ricerca sono stati illustrati durante una conferenza tenutasi nella sede dell’Akademia al termine della quale è stata inaugurata una mostra degli elaborati prodotti.
L’edificio, probabilmente edificato nel XVIII secolo e fin dall’inizio titolato a San Luigi Gonzaga, ha attraversato tre fasi di sviluppo nel corso della sua storia. L’impianto originale della chiesa consisteva nell’edificio attuale, con la presenza di un piccolo giardino sul lato sinistro sul quale si aprivano ampie finestre, fornendo abbondante luce alla navata. Sul lato destro si trovava la canonica a due piani il campanile originale. La seconda fase si riferisce agli anni del regime comunista, durante i quali, nel 1976, il campanile fu demolito e vennero eseguiti ulteriori lavori per trasformare la chiesa in un teatro delle marionette, tra cui la distruzione dei decori interni in marmo, il riempimento delle nicchie sulle pareti, l’aggiunta di una nuova facciata in calcestruzzo, la chiusura della porta principale e l’apertura di una porta laterale. La terza fase coincide con l’arrivo della democrazia nel 1990. La Chiesa riacquisì la custodia dell’edificio e avviò gradualmente i lavori di ripristino. La facciata in calcestruzzo fu rimossa, le decorazioni vennero ricostruite e furono aggiunti nuovi edifici adiacenti.
La documentazione morfometrica e cromatica dell’edificio ha consentito l’elaborazione di un progetto di riqualificazione degli spazi e rifunzionalizzazione della struttura.
Il Teatro Migjeni è un edificio di pregio denso di valori simbolici per la città di Shkodër e con un importante potenziale strategico nell’ambito della valorizzazione del Patrimonio Culturale albanese. Costruito tra il 1954 e il 1957, è situato al margine del nucleo più antico della città, al civico 1 di Sheshi Demokracia, importante crocevia degli assi stradali Rruga Teuta, Rruga Studenti, Bulevardi Bujar Bishanaku e rruga Qemal Draçini.
La campagna di rilevamento, commissionata al CHM_Lab dal Ministero di Cultura della Repubblica di Albania in collaborazione con l’Università Cattolica Nostra Signora del Buon Consiglio di Tirana, è stata condotta mediante l’impiego di sensori attivi e passivi. Le pointcloud generate dai laser scanner hanno permesso la realizzazione di una nuvola densa di punti in grado di descriverne compiutamente la morfologia, mentre le texture del colore apparente, desunte mediante fotogrammetria terrestre e aerea, hanno consentito di realizzare un modello tridimensionale texturizzato dal quale sono stati estratti i dati necessari per la redazione dei fronti dell’edificio e la planimetria. Il rilievo digitale condotto ha consentito pertanto l’acquisizione dei dati morfometrici e cromatici necessari ad una dettagliata documentazione della geometria e del colore apparente delle superfici, finalizzata alla formulazione di un progetto di restauro volto alla conservazione e salvaguardia dell’organismo architettonico.
La documentazione morfometrica e cromatica del Teatro dell’Accademia delle Belle Arti di Tirana (ex casa dell’Opera Dopolavoro Albanese), progettato da Gherardo Bosio tra il 1939 e il 1940 e realizzato negli anni immediatamente successivi, è stata realizzata in vista del progetto di restauro conservativo dell’edificio. Il rilievo, che ha contribuito a mettere in evidenza il generale rispetto delle misure di progetto in fase di esecuzione dell’opera, ha anche consentito di evincere alcune sostanziali difformità tra la conformazione attuale dell’edificio e gli elaborati di progetto aggiornati al 1942, discrepanze che ad oggi non è possibile attribuire con certezza alla fase di costruzione del teatro oppure a interventi successivi. Lo stato di degrado in cui versa il teatro è attribuibile alla vetustà della costruzione (nei suoi componenti e materiali), che nel tempo sembra essere stata oggetto di limitati e inefficaci interventi di manutenzione, e alla presenza di alcune problematiche riscontrabili sia nel tessuto connettivo, sia nella morfologia di alcuni elementi strutturali.
Il rilevamento dei dati morfometrici e cromatici del teatro, realizzato dall’architetto Gerardo Bosio nel 1939-40, è finalizzato al consolidamento e restauro dell’edificio.
Con il termine portale si intende la struttura di accesso che, dalla via pubblica, immette nella corte antistante l’abitazione. Il tessuto insediativo di Rehovë (comune di Erseka, distretto di Korçë) è infatti costituito da recinti quadrangolari in muratura disposti con il lato corto sul percorso, dove si apre l’accesso alla proprietà, e con il fronte principale dell’abitazione orientato verso Sud-Ovest.
La campagna di rilevamento dei portali si è svolta è stata realizzata mediante sensori attivi e passivi. Per georeferenziare i portali all’interno del tessuto edilizio le porte sono state collegate tra loro mediante una serie di scansioni intermedie, ottenendo così un modello 3D dello spazio pubblico del villaggio. I dati morfometrici e cromatici dei portali sono confluiti in un database, che successivamente ha consentito di analizzare i materiali impiegati nella loro costruzione e lo stato di deterioramento.
Il centro storico di Argirocastro è stato aggiunto all’UNESCO World Heritage List nel 2005 grazie alla presenza di alcuni notevoli esempi di case in stile ottomano e all’integrità del paesaggio urbano vernacolare. Fondata sulle pendici della valle del Drino, in una posizione strategica che soddisfaceva le necessità difensive, è caratterizzata da una struttura urbana impostata su due creste che si stagliano dal massiccio, nel punto di congiunzione delle quali si trova il quartiere Bazaar.
La documentazione eseguita nell’ambito del progetto europeo “3D Past. Living and virtual visiting European World Heritage” mediante l’utilizzo di strumenti range-based e image-based, ha permesso di ottenere rappresentazioni 2D e modelli 3D texturizzati di alcuni casi studio identificati in quanto particolarmente significativi delle principali tipologie edilizie presenti nel tessuto urbano.
All’interno delle attività del progetto Erasmus+ “Programme Strategic Partnerships” (key action 2) – partner Eskişehir Osmangazi University - ESOGÜ (Turchia), Eskişehir Teknik University - ESTÜ (Turchia), Bahcesehir University of Istanbul – BAU (Turchia), Università degli Studi di Firenze - UNIFI, Universitat Politècnica de Catalunya – UPC (Spagna), Azerbaijan Architecture and Construction University of Baku - AZMIU (Azerbaijan), Non Formal Education For Youth - NFE4Y (Ucraina), Equal Opportunity And Sustainable Future Association of Ankara – FESGEDER (Turchia) – è stato progettato e realizzato un serious game sul tema dell’anfiteatro romano di Arezzo; la ricerca proseguirà con la redazione di una guida che illustri le problematiche e le opportunità legate al trasferimento dei valori tangibili e intangibili del Patrimonio Culturale all’interno di un digital game.
Nel contesto delle azioni coordinate – partner Archivio di Stato di Firenze, Archivio Storico del Comune di Firenze, Università degli Studi di Firenze, Amici Museo Stibbert Aps, Amici di Palazzo Pitti Aps, Museo Medagliere dell’Europa Napoleonica, Associazione delle Dimore Storiche- Sezione Firenze e Toscana, Souvenir Napoléonien – per il duecentesimo anniversario della morte di Napoleone Bonaparte, il progetto “Napoleone 2021” è finalizzato alla ricostruzione virtuale della “Firenze sognata” dall’Imperatore. L’obiettivo è quello di rappresentare, a partire dai numerosi disegni depositati negli archivi toscani e parigini, l’immagine urbana che la città di Firenze avrebbe dovuto assumere se i “Plans d’Embellissement”, proposti durante il breve periodo di reggenza napoleonica, avessero trovato una loro realizzazione.
La ricerca, oltre a rendere intelligibile il progetto dell’Imperatore per la città del giglio, consente anche un confronto tra i “Plans d’Embellissement” solo in parte realizzati e gli interventi urbani effettivamente ripensati e realizzati nei decenni successivi. Una pianta interattiva della città consente di richiamare contenuti multimediali, modelli navigabili di porzioni urbane oggetto di intervento e l’intero apparato documentario e i disegni, per la prima volta raccolti e resi disponibili in un unico database.
All’interno delle attività del progetto europeo “VerSus+ | Heritage for people” – partner Università degli Studi di Firenze, Universidad Politécnica de Valencia – ETSA (Spagna), ESG/ Escola Superior Gallaecia (Portogallo), Università degli Studi di Cagliari, CRATerre Association (Francia) – è stata sperimentata la possibilità di impiegare i dati provenienti da una cmapagna di documentazione morfometrica e cromatica di una porzione dell’ambiente urbano di Sant’Antioco (CA) per la realizzazione di un serious game finalizzato al riconoscimento dei caratteri del Patrimonio Culturale di Sant’Antioco, a supporto delle proposte di valorizzazione ambientale, socioculturale e socioeconomica.
Il video “La Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci. Storia di un capolavoro incompiuto” è l’esito di una ricerca condotta da un’equipe multidisciplinare composta da storici dell’arte e dell’architettura, architetti ed esperti in computer grafica. L’obiettivo era quello di illustrare attraverso delle animazioni 3D la vicenda della celebre opera che Leonardo cominciò a dipingere nella Sala del Consiglio Maggiore (oggi Salone dei Cinquecento) in stretta relazione con i mutamenti della fabrica.
I modelli digitali 3D che raffigurano il Salone nelle diverse fasi storiche sono stati messi a punto in funzione sia del documento materiale (la fabrica stessa, in riferimento, soprattutto, ai dati morfometrici), sia delle fonti testuali e iconografiche. I modelli digitali, che hanno rivestito un ruolo di primo piano nella ricerca, sono stati impiegati con una duplice finalità: come strumento di lavoro utile a congegnare di volta in volta la forma assunta dalla Sala nell’arco dei secoli, sperimentando soluzioni diverse in risposta alle differenti ipotesi avanzate dal gruppo di esperti, e come mezzo per la divulgazione degli esiti dello studio che, attraverso l’animazione 3D, hanno verosimilmente avuto maggiore possibilità di aiutare un pubblico anche di non addetti ai lavori a comprendere la complessa vicenda dell’opera di Leonardo in Palazzo Vecchio.
Nell’ambito delle celebrazioni Leonardiane e per ricordare, in particolare, il volo di Leonardo da Monte Ceceri (Fiesole), è stata progettata e realizzata una installazione in legno sulla cima del Monte Ceceri nella seconda metà di settembre 2019. Affidandosi ai disegni di Leonardo è stata ricostruita la sua macchina volante, il “grande nibbio”, che nel giorno dell’inaugurazione ha ‘volato’, appesa a un cavo, dal piazzale Leonardo alla base della rupe, compiendo una traiettoria di trenta metri di lunghezza e circa dieci di dislivello. L’impiego della modellazione 3D, a partire dal dato reale (modellazione inversa) o dall’idea di progetto (modellazione diretta), ha avuto nell’ambito della ricerca una triplice finalità: fornire a priori una solida base morfometrica sulla quale impostare il lavoro, consentire la verifica in itinere delle scelte adottate e, infine, permettere a posteriori la realizzazione di un’animazione 3D allo scopo di promuovere la ricerca stessa. Al video “Leonardo e il volo. Progetto e costruzione di un’istallazione temporanea a monte Ceceri”, della durata di 5.30 minuti, è stato affidato il compito di documentare a promuovere la ricerca.
All’interno delle attività del progetto europeo “3D Past. Living and virtual visiting European World Heritage” – partner Università degli Studi di Firenze, Universidad Politécnica de Valencia – ETSA (Spagna), ESG/ Escola Superior Gallaecia (Portogallo), Università degli Studi di Cagliari, CRATerre Association (Francia) – è stato progettato e realizzato in versione promo il serious game “Pienza Under Construction”, mediante il quale si intende far conoscere al giocatore, che si muove in uno spazio virtuale 3D, le diverse fasi che hanno segnato lo sviluppo urbano della città di Pienza (dal primitivo pagus romano fino alla città rinascimentale, passando per quella medievale). L’utente deve infatti cimentarsi nella costruzione degli edifici della città utilizzando tipologie edilizie, materiali, tecniche e maestranze proprie di ciascuna delle tre epoche. Un tutor lo accompagna nel suo percorso, suggerendo quando necessario come procedere. Delle schede di approfondimento si aprono ogni qualvolta il giocatore si imbatte in tematiche di particolare interesse architettonico e/o urbano. I modelli dell’edificato sono frutto di una estesa ricerca, realizzata sia sulle fonti edite sia mediante campagne di rilevamento, rivolta ad analizzare nel dettaglio i tipi edilizi, i materiali e le forme del costruito.
Tra il 1865 ed il 1870 l’Amministrazione comunale di Firenze ed alcune società private elaborarono più di un progetto per la realizzazione di mercati coperti e negli anni seguenti si procedette alla costruzione di tre dei cinque padiglioni inizialmente previsti. I nuovi manufatti furono realizzati in San Lorenzo, in Sant’Ambrogio e in Santo Spirito, in seguito alla demolizione di quanto già esisteva. Dalla documentazione redatta per la costruzione dei nuovi mercati delle Vettovaglie di Firenze è stato possibile, utilizzando gli strumenti dell’info-grafica, ricreare un’immagine inedita dei tessuti edilizi demoliti alla fine del XIX secolo per far posto ai padiglioni di vendita. L’analisi della documentazione conservata nell’Archivio Storico del Comune di Firenze, che ha fornito informazioni sulla dimensione degli edifici demoliti e sui loro caratteri formali, integrata con i dati desunti dalle campagne di rilevamento digitale degli edifici ancora esistenti nello stesso intorno urbano, ha consentito di realizzare dei modelli tridimensionali dei tre tessuti edilizi ante 1870. Le tecniche di animazione 3D, infine, hanno permesso di illustrare dinamicamente le vicende che interessarono le aree oggetto d’intervento.
Le Scuole d’Arte di Cubanacán a La Habana, oggi Universidad de las Artes (ISA), rappresentano il primo grande progetto post Rivoluzione voluto da Fidel Castro e Ernesto Che Guevara nell’ambito della formazione. Le cinque iniziali Scuole (musica, danza, balletto, arti drammatiche e arti plastiche) sono conosciute per aver avuto inizialmente sede in edifici dallo straordinario valore architettonico e paesaggistico eretti all’interno del grande parco dell’ex Country Club.
Nel corso dei decenni tre di tali manufatti (musica, balletto e arti drammatiche) sono stati progressivamente abbandonati e versano oggi in uno stato di deprecabile degrado.
Nel settembre del 2019, grazie all’interesse del governo italiano, ha preso avvio il progetto di cooperazione internazionale denominato “¡Que no baje el telón! Rehabilitación de la Facultad de Arte Teatral” dell’ISA, che si inquadra tra le iniziative a dono nell’ambito di relazioni bilaterali Italia-Cuba (art.7 della Legge n. 125 del 2014) è finalizzato, in primo luogo, al restauro della Facultad de Arte Teatral dell’Universidad de las Artes dell’Avana posta all’interno del complesso di Cubanacán e realizzata dall’architetto italiano Roberto Gottardi (Venezia, 1927 - La Habana, 2017) tra il 1960 e il 1965. Tra le attività più rivelanti sono da menzionare quelle legate al capacity building del personale cubano impiegato nel cantiere di restauro, quelle inerenti alla valorizzazione del patrimonio territoriale del Municipio de Playa e, infine, quelle rivolte allo scambio di esperienze tra compagnie teatrali italiane e cubane.
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Il rilievo morfometrico della FAT, finalizzato al progetto di restauro e conservazione, consta di 530 elaborati tra restituzione geometrica dei corpi di fabbrica (in scala 1:50) e fotopiani relativi a pareti, coperture e pavimentazioni (in scala 1:20).
La documentazione morfometrica del verde storico condotta dal CHM_Lab si è incentrata sui giardini murati e sulle tipologie di rappresentazione che ad essi meglio si adatta.
La campagna di rilevamento ha interessato il giardino posto ad Est di Villa La Quiete, composto da labirinti ed alberi ad alto fusto; è stata inoltre documentata una cisterna per l’acqua ed una scalinata di probabile attribuzione poggiana.
La campagna di rilevamento ha interessato il giardino all’italiana, la ragnaia e la Terrazza dell’Elettrice Palatina, in vista delle operazioni di recupero e restauro.
La campagna di rilevamento ha interessato l’Anfiteatro, una delle grotte, la nicchia con statua posta nei pressi del deposito dei reperti archeologici e la fontana collocata all’ingresso da Costa San Giorgio.
La campagna di rilevamento integrato, condotta mediante l’utilizzo di scanner laser, stazione topografica e fotocamere digitali, ha consentito la documentazione morfometrica e cromatica sia delle superfici orizzontali e dei relativi dislivelli presenti, sia dell’elevato delle porzioni di fabbricati insistenti sui tre giardini.
L’elaborazione dei dati di rilievo ha permesso la realizzazione di modelli 3D semplificati in grado di descrivere gli spazi verdi documentati mediante acquisizione da sensori attivi e passivi.
Il “Progetto Prometeo: documentazione morfometrica e cromatica 2D e 3D di alcuni manufatti nei siti UNESCO di Tikal e Quiriguà (Guatemala)” della Generalitat Valenciana riservato ai gruppi di ricerca d’eccellenza ha previsto una campagna di rilevamento digitale presso i siti UNESCO di Tikal e Quiriguà. I manufatti rilevati tramite scansione laser e fotogrammetria digitale sono stati: edificio 5D-46, edificio 5D-49 (Tikal); edificio 1B-1, edificio 1B-4 e subestructuras, estela F, altar P, zoomorfo P (Quiriguà).
In collaborazione con l’equipe di lavoro dell’Universidad Politécnica de Valencia coordinata da Gaspar Muñoz Cosme, è stata elaborata per il Museo de América di Madrid una proposta di virtual museum. Il gruppo di lavoro ha rilevato digitalmente alcuni reperti di particolare interesse, realizzandone copie digitali dotate di colore apparente. Questi modelli, navigabili in real-time, sono stati successivamente inseriti in una banca dati all’interno di un sito web ideato all’uopo per poter essere fruiti da remoto.
La continuativa collaborazione con il “Proyecto La Blanca” – un programma nato nell’ambito della cooperazione internazionale e finalizzato alla salvaguardia del patrimonio culturale dell’antico insediamento Maya di La Blanca e, successivamente, anche di quello di El Chilonché, facenti parte di un’area archeologica del Sud-Est del Departamento de Petén (Guatemala) – ha portato alla documentazione con le più recenti tecnologie digitali dei manufatti architettonici che emergono durante le campagne di scavo. I modelli 3D che ne derivano risultano uno strumento sempre più irrinunciabile anche nella ricerca archeologica, in grado di coadiuvare una campagna di scavo, di permettere una analisi “a tavolino” dei dati raccolti e di divulgare in modo efficace i risultati degli studi, con inconfutabili ricadute sulla intelligibilità delle analisi svolte.
Il mascaron di Chilonché, una scultura di grandi dimensioni che adornava un edificio palaziale appartenente all’omonimo insediamento Maya, venne scoperto all’interno di un tunnel di saccheggio nel 2009. Si tratta di una decorazione architettonica tipica degli edifici Maya che rappresenta un animale mitico, con dimensioni approssimative di 4x3 metri, e caratterizzata da un buon livello di conservazione.
La documentazione morfometrica e cromatica è avvenuta mediante l’impiego combinato di uno scanner laser e di una fotocamera digitale. Il modello 3D texturizzato è stato ottimizzato e, con l’impiego di un software di simulazione in tempo reale, sono stati sviluppati due tipi di applicazioni di visualizzazione: una prima destinata a studiare l’oggetto originale utilizzando dispositivi di realtà virtuale e una seconda destinata a consentire al pubblico di visualizzare la ricostruzione su una simulazione 3D in tempo reale interattiva sul web.
L’antica capitale del Guatemala, fondata dai conquistadores spagnoli a metà del XVI secolo con il nome di “Santiago de los Caballeros de Guatemala”, oggi nota come La Antigua Guatemala, ha una struttura urbana pianificata basata su una maglia ortogonale di 36 lotti quadrangolari, costituiti principalmente da edilizia civile residenziale, all’interno dei quali si inserisce un numero ingente di edifici religiosi.
La città, patrimonio UNESCO dal 1979, sorge in una regione vulcanica, ed è pertanto sempre stata soggetta a significativi eventi sismici. I ripetuti e violenti terremoti che si sono susseguiti nel corso dei secoli hanno pesantemente danneggiato la maggior parte di tali edifici, molti dei quali conservano unicamente i fronti della chiesa in seguito al crollo delle strutture interne.
La documentazione morfometrica di cinque architetture campione ha consentito una anastilosi digitale dei manufatti originari mutilati dai ripetuti eventi sismici accorsi in cinque secoli di storia. Su tale ricostruzione è stato possibile impostare una ricerca finalizzata all’individuazione dei modelli e degli archetipi a cui fanno riferimento gli edifici di culto costruiti dagli ordini mendicanti che, tra il XVI ed il XVIII secolo, sono approdati in Centro America in seguito alle spedizioni organizzate dalla Corona spagnola per colonizzare le terre conquistate.
La Valleriana è un territorio con una forte individualità originata dalle singolari caratteristiche orografiche delle sue strette valli. A partire dall’XI-XII secolo furono eretti undici castelli, collocati in questo contesto con logiche legate al controllo del territorio circostante. In alcuni casi gli insediamenti, oltre a fungere da semplici avamposti militari, venivano utilizzati come residenza permanente di un signore locale e delle loro milizie. Dal rapporto che la topografia ha con le dinamiche interne al tessuto tra residenze ed edilizia speciale (fortezza/chiesa, municipio/chiesa), edilizia e percorsi, ed infine, tra edifici e strutture difensive/offensive derivano forme urbane facilmente riconoscibili, che caratterizzano ancora i centri della Valleriana.
Il Progetto Velleriana propone di salvaguardare e valorizzare le unicità del territorio partendo dalla loro conoscenza approfondita. Mediante campagne di studio mirate su ciascun insediamento intende pertanto fornire una visione complessiva e dettagliata del tessuto urbano ed edilizio, integrato dall’individuazione delle invarianti paesistiche, naturalistiche, antropiche e percettivo-visive, dall’indagine archeologica delle persistenze architettoniche e dallo studio storico dei documenti editi e di archivio, al fine di fornire all’amministrazione e agli enti competenti preposti alla salvaguardia strumenti concreti per la valutazione e il monitoraggio dei beni culturali.
Il Comune, da sempre sensibile a queste problematiche, ha accolto da molti anni con favore le iniziative promosse dal CHM_Lab, le quali, se da una parte sono volte all’analisi scientifica degli insediamenti, dall’altra affrontano tematiche progettuali tese al recupero, alla conservazione ed alla valorizzazione degli stessi centri e dei manufatti che ospitano.
Dal punto di vista paesaggistico la Valleriana è un organismo territoriale caratterizzato dalla presenza di dieci insediamenti alto medievali che ancora oggi conservano le tracce, quanto meno negli impianti urbani, di un fiorente passato. Gli strumenti urbanistici di cui si è dotato il Comune di Pescia nel 2012 hanno riconosciuto il valore storico, ambientale e culturale della Valleriana e sancito la sua tutela integrale individuando tale territorio come invariante strutturale. L’enorme patrimonio custodito nelle vallate del torrente Pescia di Pescia e dei suoi affluenti è però continuamente minacciato dall’incuria, da un utilizzo errato e dalla mancanza di finanziamenti in grado di arrestare la sua rovina.
Il castello di Pietrabuona, documentato a partire dal 914, fu costruito per volere del Vescovo di Lucca Pietro II (896-933) a controllo del limite orientale dei possedimenti della Diocesi. Le fonti archivistiche consultate, le analisi metrologiche eseguite a seguito della campagna di rilevamento integrato e le indagini stratigrafiche realizzate sulle strutture murarie hanno consentito di ipotizzare l’assetto del primitivo castello e le sue successive fasi di trasformazione, avvalorando, inoltre, l’ipotesi di un insediamento murato di nuova fondazione al pari dei coevi castelli di Moriano, Santa Maria a Monte e San Gervasio.
A Pietrabuona, attorno a un originario nucleo pianificato, composto da due stecche parallele di fabbricati con al fondo un edificio gastaldile, si è sviluppata, per successivi accrescimenti, la struttura urbana del castello fino alla completa saturazione degli spazi liberi all’interno della cerchia muraria trecentesca. Dal tipico insediamento altomedievale di testata di crinale, costituito da un percorso matrice insediato ai lati con al fondo il palazzo signorile, si è quindi gradualmente passati a un centro demico di maggiori dimensioni realizzato mediante una fascia di nuovi edifici costruiti nella parte orientale a ridosso della primitiva cerchia.
Il materiale prodotto ha costituito il necessario supporto documentario messo a disposizione dei partecipanti al workshop internazionale “Documentazione e valorizzazione del castello di Pietrabuona”, conclusosi con la giornata di studi e la mostra “Strategie per la salvaguardia e la valorizzazione degli insediamenti medievali” (Pescia, 2012). Il workshop di progettazione (Pescia, 22-26 ottobre 2012) è stato rivolto a studenti e dottorandi in architettura e ingegneria provenienti da sei Facoltà di Architettura e Ingegneria italiane che, sotto la guida di docenti delle discipline progettuali e compositive, hanno svolto una esperienza sul tema comune del castello di Pietrabuona. L’obiettivo della giornata di studi (Pinacoteca di S. Michele di Pescia, 27 ottobre 2012) è stato quello mettere a confronto le diverse strategie attraverso le quali oggi è possibile intervenire nel contesto edilizio e urbano storicizzato al fine di istituire una politica di salvaguardia e valorizzazione. La mostra (Pinacoteca di S. Michele di Pescia, 27-31 ottobre 2012) inaugurata durante la giornata di studi ha raccolto e posto a confronto i lavori realizzati nel workshop “Documentazione e valorizzazione del castello di Pietrabuona” e nel Seminario Tematico “Rilevare e progettare nel contesto storico: Pietrabuona (Pescia, PT)”.
Nei secoli in Valleriana, la media ed alta collina alle spalle della città di Pescia, si è formato un fiorente sistema manifatturiero caratterizzato da opifici andanti ad acqua per la produzione della carta. Questo sistema, assieme alle cartiere della vicina Villa Basilica, ha costituito fino agli inizi del Novecento il polo cartario più grande dell’intero territorio italiano.
Alla metà del XX secolo dall’area della “Svizzera Pesciatina” le cartiere si spostarono lungo la direttrice dell’A11, costituendo nella piana lucchese uno dei poli cartari più grandi al mondo. Il trasferimento pressoché totale delle industrie ha lasciato nel territorio un gran numero di manufatti in disuso che, nel corso degli anni, hanno avuto destini diversi: alcune fabbriche sono state riutilizzate con un distinto uso, altre invece sono state abbandonate ad un lento processo di “ruderizzazione”.
La fondamentale analisi conoscitiva, i rilievi, le ricerche sulle modalità, gli spazi, le tecniche produttive e l’analisi delle patologie che colpiscono questi manufatti possono condurre a precise ipotesi restaurative delle componenti materiche, mentre ad una nuova ed anche inedita proposta funzionale è affidato io compito tanto di valorizzare i caratteri storici, quanto di attrarre nuova utenza.
Il progetto riguarda la documentazione del sistema industriale cartario della Valleriana mediante lo studio e la catalogazione degli antichi opifici, oggi in gran parte dismessi, finalizzati ad operazioni di recupero e rifunzionalizzazione, nonché alla realizzazione di una piattaforma integrata, progettata per contenere e far interagire database complessi e modelli virtuali interrogabili in tempo reale, che consentirà di istituire una rete informatica, facilmente fruibile da un’eterogenea utenza, in grado di connettere tutti i siti indagati e consentire una conoscenza globale dell’intero sistema. Per le prime due cartiere analizzate (la Cartiera Bocci di Pietrabuona e la Cartiera Bocci di Ponte a Gemolano) è stata condotta una campagna di rilievo integrato che ha consentito l’analisi e la conoscenza approfondita dei manufatti inseriti nel loro contesto, della loro struttura, del loro funzionamento e dei cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli.
Ricordata per la prima volta in un documento del 938, Sorana sembra derivare il nome dall’appellativo del suo originario sistema fortificato, la “Rocca Sovrana”, edificato con orientamento Nord-Est/Sud-Ovest sull’acrocoro al termine del percorso di crinale discendente dal monte Lignana, in posizione strategica per la difesa del territorio. Il nucleo insediativo più antico si formò all’interno del primo circuito murario, di forma pressoché rettangolare, lungo il percorso di spina uscente dalla rocca. Le espansioni successive, avvenute su percorsi anulari a quote via via più basse, conferirono all’abitato la forma “a semicerchio” tipica degli insediamenti di testata che ancora oggi lo rende riconoscibile. Fortemente contesa, durante le aspre battaglie che interessarono l’intera Valleriana a cavallo tra XIII e XV secolo, tra la dominante lucchese-pisana e quella fiorentina, Sorana passò definitivamente sotto il controllo di quest’ultima soltanto nel 1364, accogliendo tra i suoi abitanti i superstiti della distruzione del limitrofo castello di Lignana. Tale evento portò ad un ulteriore ampliamento dell’abitato, mediante la costruzione di un nuovo agglomerato, noto come Borgo Paradiso, posto a Sud-Ovest, al di fuori delle mura, lungo la ripida mulattiera di collegamento con il fondovalle.
Del primitivo sistema difensivo rimangono alcune tracce nelle murature delle abitazioni poste alla sommità del paese, alcuni lacerti dell’antico ridotto fortificato – riconoscibile esclusivamente per il suo perimetro esterno – e la torre quadrangolare in blocchi squadrati di arenaria di medie dimensioni, in seguito divenuta torre campanaria della vicina chiesa dei Santi Pietro e Paolo, a controllo dell’unica porta di accesso sul lato Sud-occidentale. Con l’accrescimento trecentesco che interessò l’abitato si rese necessaria l’edificazione di una seconda cortina muraria, più ampia, a protezione del consistente ampliamento urbano. Di questa seconda cinta restano esclusivamente le due porte – la Porta Fredda, ad arco, a Nord-Ovest e la porta Balda, con architrave monolitico, a Nord Est, realizzate entrambe in conci quadrati e sagomati – ed alcuni brevi tratti murari in prossimità di esse, caratterizzati dall’impiego di bozze allungate e quadrangolari su filari continui.
La documentazione morfometrica dell’ambiente urbano (cortine edilizie e piani stradali), degli edifici pubblici (civili e religiosi) e delle strutture difensive del castello di Sorana è stata realizzata mediante l’impiego di un’unità scanner laser e di una stazione totale che, generando una nuvola rada di punti (rete topografica), ha agevolato la messa a registro delle scansioni mediante il riconoscimento di target bidimensionali.
Lo studio, che a partire dalla copia digitale dell’ambiente urbano ha permesso una lettura del tessuto urbano e dei principali edifici speciali nonché la formulazione di ipotesi di formazione e sviluppo dell’insediamento, ha consentito inoltre approfondimenti e sperimentazioni sul tema dei Sistemi Informativi Territoriali (dal GIS 2D al GIS 3D) e sulle procedure di reverse modeling per i contesti urbani pluristratificati.
Il Castello alto medievale di Aramo, documentato a partire dalla fine del X secolo, controllava l’accesso alla Valleriana, sistema montano formato dalla val di Forfora e dalla val di Torbola e comunemente detto “Svizzera Pesciatina”. La tipologia insediativa è una variante di quella propriamente detta “di testata” di crinale: lo spartiacque continua a costituire il percorso matrice ma, a differenza del tipo più comune, gli edifici speciali, eretti nella posizione più elevata, anticipano l’abitato che si dipana lungo i versanti. Il punto più alto del rilievo ospita infatti una torre altomedievale. La peculiare posizione geografica al centro della Valleriana, i ripidi versanti che connotano il promontorio sul quale poggia e che lo rendono difficilmente espugnabile e l’ottima visibilità, non solo rispetto alle altre castella, ma soprattutto verso la pianura pesciatina ed in particolare in direzione della fortezza di Montecarlo, devono aver fatto di Aramo un presidio militare prima che un centro demico.
Il primo documento che attesta ad Aramo la presenza di un abitato risale al 988, quando il vescovo Isalfredo allivella o infeuda ai figli di Gottifredo dei signori da Maona la pieve San Tommaso di Arriana con tutti i suoi beni e le sue decime. Nell’elenco delle trentadue villae, cioè degli insediamenti di notevole densità facenti parte della Plebs Sancti Thomae de Arriani, si trova anche Aramo.
La costruzione delle mura è ascrivibile ai primi decenni del XIV secolo, periodo in cui le mire espansionistiche fiorentine interessarono tutta la Valleriana. Circa la loro consistenza, sul versante orientale, la cui pendenza rendeva impossibile un eventuale assedio, le mura erano costituite da un fronte di case con aperture ai piani terreni estremamente ridotte ed in forma di feritoie (lo stesso si verifica per le mura di Pontito); su quello occidentale e in quello settentrionale vi doveva invece essere una cortina isolata.
Notizie più dettagliate circa la configurazione del castello sono molto più tarde e vengono offerte dalle pagine dello statuto di questo comune compilato nel 1572, giunto sino a noi grazie ad una copia del 1779.
Aramo ha costituito un progetto pilota in ambito nazionale teso a verificare le potenzialità delle strumentazioni a scansione laser nel rilevamento di interi comparti e dei programmi di restituzione e gestione delle informazioni correlate agli edifici e agli spazi urbani. Gli aspetti legati alla conoscenza e alla gestione, sulla base di un rilievo geometrico degli spazi urbani (rilievo delle dimensioni oggettivamente misurabili), e sul rilievo delle qualità che questi possiedono sono stati messi in relazione tra loro mediante l’uso di un software che permette, mediante semplice interrogazione, di evidenziare gli aspetti qualitativi correlandoli a quelli quantitativi e viceversa (GIS referenziato ad una modellazione composta da nuvole di punti). Il rilievo delle qualità relative al contesto costruito di Aramo è stato organizzato analizzando il castello nelle sue componenti edilizie e urbane.
Il materiale prodotto in seguito alla campagna di rilievo integrato ha costituito il necessario supporto documentario messo a disposizione dei partecipanti al workshop nazionale “Aramo e le dieci castella della Svizzera Pesciatina”, conclusosi con la giornata di studi e la mostra “Il progetto nel contesto storicizzato: esempi a confronto” (Pescia, 2008). Il workshop di progettazione (Pescia, 12-16 maggio 2008) è stato rivolto a studenti e dottorandi in architettura e ingegneria: i sedici studenti e i sette tutors provenienti da sei Facoltà di Architettura e Ingegneria italiane, sotto la guida di docenti delle discipline progettuali e compositive, hanno svolto una esperienza sul tema comune di “Aramo e le dieci castella della Svizzera Pesciatina”. L’obiettivo della giornata di studi (Palagio di Pescia, 17 maggio 2008) è stato quello di mettere a confronto le diverse teorie in base alle quali le “scuole” di architettura presenti nel nostro paese operano nel contesto storico. Dal confronto tra i progetti elaborati nel workshop e dal dibattito tra coloro che hanno preso parte alla giornata di studio, è emersa distintamente la comune convinzione che oggi non sia più accettabile intervenire sul patrimonio edilizio, urbano e paesaggistico in assenza di un quadro conoscitivo esauriente. La mostra (Palagio di Pescia, 17-24 maggio 2008) inaugurata durante la giornata di studi ha raccolto e posto a confronto otto progetti relativi ad interventi concepiti in un organismo urbano fortemente caratterizzato da una spiccata valenza storica. Il tema comune degli elaborati proposti riguarda la valorizzazione e la corretta gestione del patrimonio edilizio di Aramo, connotato da un particolare pregio urbano ed architettonico, ma ormai in uno stato di progressivo abbandono.
Il progetto, condotto in più anni, ha come fine quello di analizzare, a partire dalla documentazione morfometrica, il primitivo tessuto edilizio pesciatino formatosi attorno alla piazza antistante il palazzo Comunale di Pescia. Questo nodo urbano è di particolare interesse nello studio dell’impianto medievale della città, caratterizzato dalla presenza di due importanti percorsi cittadini, del rio di Santo Stefano, della sede del potere politico (il Palagio) e di quello religioso (la chiesa dei SS. Stefano e Niccolao). Il rilievo di tali elementi ha contribuito a decodificare i rapporti esistenti tra queste emergenze:
Ultimo aggiornamento
07.11.2025